Il più grande esperimento di Smart Working di sempre?
In Cina l’impatto del Coronavirus ha già spinto le aziende a ricorrere allo Smart Working, ovvero il lavoro da remoto, per evitarne la diffusione. La quantità di aziende che ha attuato questa soluzione è talmente impressionante che Bloomberg News ha già definito queste giornate “il più grande esperimento di telelavoro mai realizzato prima”.
E in Italia? Lo Smart Working applicabile da subito
Anche il nostro Paese si sta adeguando alla situazione, e numerose aziende come Unicredit e Generali stanno lavorando a pieno ritmo, nonostante gli uffici siano chiusi, con una percentuale di lavoratori attrezzati per il lavoro da casa al 60-70%. E hanno seguito, tra le altre, anche Heineken, Luxottica, Intesa San Paolo, Sky e Wind. Questo anche grazie ad uno dei decreti attuativi del dl 23 febbraio 2020 n. 6, che ha stabilito che il Lavoro Agile è una via praticabile da subito, senza tutti gli adempimenti previsti dalla legge.
Il responsabile dell’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano, l’ha definita una opportunità per “non fermare la produzione, e sperimentare con successo modelli che prediligono la flessibilità”.
Sebbene una epidemia globale dia poco spazio ad opportunità di sviluppo, è sicuramente vero che mai come prima nell’ambito del discorso e i dibattiti sullo Smart Working è più vero il proverbio “la necessità fa virtù”, speriamo che i benefici non li vedano soltanto le grandi e piccole imprese, che stanno considerevolmente aumentato le iniziative di lavoro agile, ma anche e soprattutto la Pubblica Amministrazione, in cui i progetti di Smart Working coinvolgono mediamente solo il 12% dei dipendenti.

Ma veramente si tratta di Smart Working?
Ricapitoliamo: a causa di un’emergenza sanitaria (lasciando da parte valutazioni su come gestire la diffusione di un virus che sembra molto contagioso) tante persone si trovano a non poter svolgere la propria attività lavorativa nei luoghi abituali.
Un’indagine recente condotta nel Veneto sulle PMI ha messo in evidenza come l’interesse delle imprese per forme di lavoro “più agili” sia in buona parte associabile alla percezione di un’esigenza di cambiamento organizzativo. Questa esigenza si alimenta principalmente dalla necessità di mettere le persone, i lavoratori, nelle condizioni più favorevoli allo svolgimento delle proprie attività lavorative, per migliorare la produttività e armonizzare meglio il lavoro con le esigenze della vita privata, della famiglia e del tempo libero.
Il fatto stesso che si parli di “lavoro agile”, smart, per definire l’impossibilità di recarsi sul posto di lavoro, fa presumere che spesso i luoghi e le modalità abituali di lavoro, non siano molto adatti o molto “smart”.
Da questo punto di vista, nemmeno lavorare in treno (!) o al parco (!) oggi può sembrare molto smart!

In definitiva, la necessità di assicurare lo svolgimento delle attività lavorative nell’impossibilità di recarsi nei luoghi di lavoro abituali può essere l’occasione per sperimentare nuove modalità di gestione del tempo, dei processi lavorativi, dei rapporti con i collaboratori.
Tuttavia, potrebbe essere l’occasione per scoprire che per lavorare in modo più produttivo e “sostenibile”, anche dal punto di vista psicologico e delle relazioni sociali, non necessariamente lavorare da casa sia più “smart”, soprattutto quando anche i figli sono a casa per la chiusura delle scuole.
Gli avvenimenti delle ultime settimane possono far riflettere su come oggi sia più che mai opportuno ripensare all’organizzazione del lavoro anche e soprattutto in una prospettiva che tenga conto di quali attività possono essere svolte in quali luoghi, con quali tecnologie e quali siano le competenze necessarie.